I Cie riguardano ognuno di noi. Aboliamoli insieme

Tue, 25/02/2014 - 13:32
di
Antonio Ardolino e Claudia De Rosa

La manifestazione di sabato 15 per la chiusura del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria è stata un'importantissima giornata di lotta. C'era bisogno di tornare sotto quelle mura e dimostrare che i movimenti romani assumono come proprio l'obiettivo della chiusura del lager romano, e sono determinati a cominciare una campagna che si allarghi anche ad altre città. La determinazione non si è abbassata nonostante i forti segnali di repressione avvenuti poche ore prima, con sequestri di mezzi e fermi preventivi, e pochi giorni prima con un’operazione giudiziaria che ha visto coinvolti 17 attivisti a cui hanno notificato 7 arresti domiciliari e 10 obblighi di firma per aver partecipato alle giornate di lotta contro l’austerity e la precarietà dell’autunno scorso. Ma ancora più importante è che gli slogan gridati e le parole scritte sugli striscioni hanno rivendicato per tutti e tutte il diritto alla libertà, al lavoro, al reddito, alla casa. E' essenziale infatti che questo percorso, se vuole essere efficace, si sganci dal “pietismo” e dalle campagne di solidarietà ascoltate dopo la strage di Lampedusa. Perchè di strage si è trattato, non di fatalità o inevitabile tragedia. Le responsabilità politiche di quelle morti, come di quelle avvenute in questi anni all'interno dei Cie, e delle condizioni disumane che si trovano anche nei Cara e nei Centri D'Accoglienza, sono tutte dei governi che si sono susseguiti negli ultimi quindici anni.
La Legge n. 40/1998, firmata dall'allora Ministro degli Interni Giorgio Napolitano, ha introdotto nel nostro ordinamento la figura dei centri di permanenza temporanea che successivamente la Legge n. 189/2002 (la Bossi-Fini) ha denominato Centri di identificazione ed espulsione per esplicitare ancor di più (come se non fosse sufficientemente chiaro) che nel nostro paese non c’è posto per i migranti. E’ interessante notare come queste leggi omettono di definire natura e caratteristiche dei Cie, riportando solo alcune indicazioni di carattere generale riguardanti la gestione e le modalità di trattenimento nei centri. In altre parole, decide il Ministero degli Interni. La scarsissima visibilità e la quasi totale mancanza di informazione, hanno contribuito a creare disinformazione sul tema, tanto che i Cie sono spesso considerati dall'opinione pubblica come semplici centri di assistenza per i migranti appena giunti nel nostro paese, mentre in realtà rappresentano la scelta dell’Italia di trattarli esclusivamente come soggetti irregolari e in quanto tali sottoposti a un unico trattamento: l’identificazione e l’espulsione. I Cie di fatto sono dei luoghi di esclusione dalla società, luoghi di violenza e repressione. In cui non è garantito nemmeno il diritto alla salute, tanto che gli enti gestori sono in grado di assicurare solo un’assistenza sanitaria di primo livello e il personale sanitario della ASL non vi ha possibilità di accesso. Si tratta di centri inumani, ingiusti, inefficienti, inutili e costosi.
Ma ancora di più sono l'espressione fisica e brutale della divisione tra lavoratori nativi e lavoratori immigrati. Perchè è di una legislazione sul lavoro che parliamo quando si creano le condizioni per la ricattabilità di braccianti, magazzinieri, autisti, muratori, venditori ambulanti. Nella città di Roma sono migliaia i ragazzi che lavorano nei mercati o nei cantieri edili per pochi spiccioli pur di essere messi in regola dal proprio “datore di lavoro”, innescando una dinamica di sfruttamento indotta dallo Stato.
Per fortuna le rivolte di Mineo e di Crotone, le proteste delle bocche cucite a Ponte Galeria, sono state in grado di reagire all'isolamento innescando una dinamica che i movimenti dei lavoratori e quelli per il diritto alla casa e al reddito devono accogliere ed allargare. E che non deve essere slegata, ad esempio, dalle vertenze dei lavoratori della logistica di quest'autunno.
La campagna per la chiusura dei Cie deve far parte di quella contro l'austerity dell'europa delle banche. Perchè è del governo delle nostre vite che parliamo quando parliamo di Frontex, di Fortezza Europa, di Mare Nostrum. Non di qualcosa che riguarda altro da noi. Sono gli stessi governi, le stesse leggi, lo stesso attacco. E se l'attacco è complessivo la risposta deve essere complessiva.
E la stessa dinamica deve rispondere alla repressione. Ogni volta che nel nostro paese si apre uno spazio di lotta le istituzioni giustificano il loro intervento repressivo e di negazione dei diritti in nome della sicurezza e dell’ordine pubblico: basti pensare agli interventi contro il movimento noTav e a quelli contro i movimenti di lotta per la casa di questi giorni. Reagire insieme e non in modo separato è l'unica possibilità di successo. Lo vediamo nella forza che hanno l’esperienze partite dal basso, come quella della ex casa del rifugiato di Bari, in cui si sta dimostrando come alla politica della repressione e della reclusione nei CARA si possa rispondere con quella del protagonismo e dell’inclusione sociale. Il patrimonio pubblico in disuso abbandonato, spesso oggetto di speculazione da parte dei palazzinari di turno, può essere conquistato da chi non ha abitazione, che sia italiano, comunitario, migrante o rifugiato. Dobbiamo abbattere le categorie che ci sono imposte, “nativo/immigrato”, “immigrato regolare/irregolare” ecc., perché la condizione di sfruttamento e di repressione è comune e la controparte è chi ci sfrutta e lo Stato che legifera su questo sfruttamento.
E' per questo che siamo convinti che la manifestazione di sabato 15 poteva e doveva essere ancora più larga. Si poteva e si doveva, da parte nostra, di chi l'ha costruita, provare ad allargare la mobilitazione, mantenendola altrettanto radicale e determinata, ma provando ad essere inclusiva di percorsi diversi, come tutto il mondo dell'associazionismo che negli ultimi anni si è impegnato attorno al tema dei Cie. E doveva, chi sostiene il governo della città e o sta cominciando a costruire proposte elettorali alternative per le prossime europee, dimostrare coi fatti che su una campagna del genere c'è concretamente e non solo con prese di posizione dopo le morti di Lampedusa e i video-shock sulla stampa.
Crediamo che il 15 debba rappresentare l'inizio di un percorso, per ottenere alla fine ciò che simbolicamente alcuni ed alcune hanno fatto alle reti del caserma che ospita il Cie romano. Abbattere i recinti, unire le lotte.