Reportage: in Algeria, la "piazza femminista" tenta di imporsi in vista della marcia di venerdì 5 aprile

Thu, 11/04/2019 - 15:42
di
Kassa Sabrina*

Alcune voci femministe cercano di farsi ascoltare in Algeria, considerando che il cambiamento "del sistema" passa anche per il riconoscimento dei diritti delle donne. Malgrado le reazioni ostili suscitate, la "piazza femminista" scende in strada per rivendicare "l'uguaglianza".

Algeri (Algeria), dalla nostra inviata speciale. Come ogni venerdì mattina, a partire dal 22 febbraio, Algeri si prepara a manifestare. L'elicottero descrive cerchi sopra la Grande Poste, i commercianti di tessuti si sistemano su via Didouche-Mourad e, di fronte ai negozi rimasti chiusi, alcune bottiglie d'acqua sono stipate per potervi accedere liberamente.

In questa mattina di venerdì 29 marzo iniziano a confluire i primi manifestanti, ma la folla non sarà all'appuntamento prima di mezzogiorno, una volta terminata la grande preghiera.

Visto che la città è ancora calma, alcune femministe algerine e tunisine discutono a casa della scrittrice e militante Wassyla Tamzaly. "In Tunisia siamo nella depressione, è la contro-rivoluzione. Siamo venute qui per ubriacarci del sangue nuovo delle strade. Se l'Algeria dovesse riuscire, salverà tutto il Maghreb", osa sperare animatamente Khadija Chérif, ex presidente dell'Associazione Tunisina delle Donne Democratiche (ATDF).

Attorno al tavolo si trova anche la commediante Adila Bendimerard, non tanto per il suo impegno femminista ma perché essa è una delle figure femministe del movimento di Algeri, da quando ha organizzato degli incontri con artiste, aperti al pubblico, ogni lunedì pomeriggio, davanti al teatro nazionale algerino. La riunione comincia con la sua testimonianza.

"Il 22 febbraio ho marciato fino alla Piazza del 1° Maggio. E' stato formidabile, un'emozione simile a un parto. Non eravamo molte donne, c'erano solamente alcune artiste, delle militanti e delle femministe. Io sono partita da Belcourt. Nelle viette, misteriosamente, le persone marciavano senza parlarsi. Non avevano affatto il look dei manifestanti. E poi, subito dopo una curva, come per miracolo, ho scoperto una marea umana silenziosa. Ci siamo messi a camminare senza parlarci, senza guardarci nemmeno. Non avevamo l'abitudine di manifestare insieme. Ero insieme ad un'amica, al centro di questa marea. Le donne erano sui propri balconi, in pigiama."

"Il 1 marzo eravamo più numerosi, ma non ancora una massa. Per questo, insieme alle mie amiche, abbiamo fatto comunicazione massiva sui social network. E' stata una piccola menzogna per instillare il desiderio, affinché gli uomini si dicessero: "voglio anch'io vedere mia moglie, le mie sorelle e le mie figlie alla manifestazione". E poi l'8 marzo è arrivato, le donne hanno manifestato massicciamente, ed erano ancora di più il 14. I ragazzi da stadio di solito non amano le urla, ma in quel caso ne chiedevano ancora e ancora. E adesso sono divenute indispensabili..."

In quel momento del racconto, Adila viene interrotta bruscamente da Fadila Boumendjel Chitour della rete algerina Wassila, un collettivo nato nel 2000 per difendere l'uguaglianza e denunciare le violenze contro le donne: "Ti trovo molto ottimista! Non bisogna confondere le icone e la realtà. Dopo tutto, quando uno cerca il consenso, ci sono due tematiche problematiche: la religione e le donne. Non sarà facile integrare la questione dell'uguaglianza nel movimento..."

Le altre femministe approvano e si rammaricano che le rivendicazioni relative al Codice della Famiglia siano apparse solo l'8 marzo. Solo Adila Bendimerad persiste nel suo ottimismo: "Questo movimento ripara le donne. Esse escono all'aperto, questo ci permette di reclutarle dunque per la causa."

Forte della propria esperienza tunisina, Yosra Fraous, l'attuale presidente dell'ATFD, torna alla carica: "La gente va avanti per un certo tempo, dopo che siamo diventati una popolazione con donne, LGBTI, poveri... E' adesso che bisogna lavorare alla costruzione di legami tra i soggetti oppressi. Altrimenti la defezione rischia di essere forte. Le donne diranno: "Ci avete utilizzato per riempire le strade, e ora ci avete deluso". Dobbiamo rivendicare i nostri diritti immediatamente".

Una postura approvata appieno da Nadia Ait Zaï del Ciddef, il Centro di Informazione e di documentazione sui diritti delle donne e dei bambini, che ha fatto della lotta per l'uguaglianza nei lasciti ereditari la sua ossessione sin dagli anni '90.

"Dobbiamo soprattutto metterci d'accordo sul nostro progetto e non fermarsi a dei diritti formali, oltre al Codice della Famiglia (il quale definisce per legge che le donne sono delle minori a vita e che lo sposo è il solo detentore dell'autorità parentale), è la pratica del potere che pone il problema. Il regime l'ha monopolizzato e ha utilizzato gli uomini per bloccarlo. E allo stesso tempo, si è pronunciato sui diritti delle donne. Anche le persone del popolo pensano che Bouteflika ci ha dato tutto, mentre invece non ha ceduto che briciole. Per molti uomini, la nostra libertà è un problema. Lo sentono come un affronto alla loro dignità."

Wassyla Tamzali prosegue: "Le persone che abitano all'estero mi domandano spesso se gli islamisti sono in agguato o se rischiano di guadagnarci. Bisogna comprendere il movimento islamista è stato decapitato ( - è stato cosa? Chiede Adila Bendimerad). Sì, il potere ha tagliato le loro teste, ma ha accolto le loro idee. La mia preoccupazione è che oggi, coloro che si definiscono rivoluzionari hanno incorporato completamente lo stato attuale della donna."

"Rispetto alle donne, sono anch'esse in molte ad averlo accettato, per comodità, per sopravvivere. Bisogna accettare l'idea che una parte della popolazione sta cambiando lentamente e che questo necessita un lavoro profondo sulle mentalità. E dal canto nostro, dobbiamo fare evolvere il nostro discorso per intersecare le nostre rivendicazioni sui diritti delle donne a quelle sulla giustizia sociale."

E' mezzogiorno, è ora di raggiungere la manifestazione, i tunisini tirano fuori le loro bandiere, lo stesso fanno gli algerini. Via Didouche-Mourad è già affollata. Numerosi manifestanti fermano la delegazione tunisina per farsi delle foto insieme.

La storia di un corpo a corpo nella piazza femminista

Direzione: l'ampiamente contestata "piazza femminista", chiamata di fronte all'ingresso della Facoltà centrale, in fondo alla via Didouche-Mourad.
Questa "piazza" non è un'espressione spontanea, ma il risultato dell'iniziativa di numerose femministe agguerrite, di cui, tra le altre, Fatma Oussedik, Fatma Boufenik, la cui dichiarazione del 16 marzo è stata riprodotta sul blog di Mediapart di Jean-Marc B. E' la seconda volta che queste femministe manifestano il venerdì, ed esse già hanno suscitato discussioni infiammate sui social media.

Quelle che tengono la "piazza" sono giovani, per la maggior parte studentesse, e sono considerate come "radicali" perché hanno deciso di manifestare per la fine del regime e per l'uguaglianza (moussawat) tra gli uomini e le donne.

Quando la delegazione guidata da Wassyla Tamzali arriva davanti alla Facoltà centrale, la via è già piena. Sentiamo gridare "Silmiya, silmiya..." ("pacifico"). Ma questa volta, la parola d'ordine del movimento, ripetuta con forza, non è indirizzata alle forze dell'ordine, ma da alcuni manifestanti che vogliono fare calare la tensione.

Le femministe della "piazza" hanno appena montato i loro striscioni (aiutate in questo da alcuni giovani uomini) sul cancello della Facoltà e già si ritrovano impegnate in discussioni accese.

Emergono tre tipi di reazione. Ci sono quelli che dicono con calma: "Non è il momento! Siamo qui per fare arretrare il sistema, non per rivendicare dei diritti particolari." Dello stesso registro, ma con toni più aggressivi, alcuni chiedono di andarsene. "Non avete niente da fare qui, questa è una provocazione, voi volete dividere il movimento, queste non sono questioni che possiamo sistemare in questo momento."

E poi ci sono quelli, furiosi, che gli urlano sopra (anche le donne) per sgomberarle di forza tirando loro dell'acqua, e spingendole. Molto rapidamente dei ragazzi salgono sul cancello per recuperare lo striscione, sui cui è scritta la parola "moussawat" (uguaglianza).

Le femministe d'ora in avanti raggruppate di fronte al cancello gridano all'unisono "Djezair, horia, dimocratia" (Algeria, libertà, democrazia). Di fronte ad esse, gli uomini urlano nella loro direzione: "FLN vattene". Esse replicano, riprendendo lo stesso messaggio "FLN vattene, FLN vattene!" agitando le braccia nella loro direzione.

La tensione sale. Non è più una questione di messaggio, ma di un corpo a corpo dove il punto sta nel non concedere spazio. Un ragazzo salta sul cancello per issare il proprio striscione. Un altro arriva, ilare, con un cachir (simbolo del tradimento) attaccato in cima a un bastone, per umiliarle.

In quel momento, diversi uomini rimasti vicino alle femministe per proteggerle, richiedono loro di allontanarsi dalla manifestazione. "Andatevene, per favore, altrimenti saremo obbligati a litigare..." La piazza femminista decide allora di muoversi, dopo aver resistito più di un'ora davanti alla Facoltà.

Wassyla Tamzaly e le altre femministe tunisine sono già andate via. Solo Adila Bendimerad le segue per circa un'ora. "Non avevo previsto di manifestare con loro. Non è una maniera di fare che mi rappresenta, preferisco impormi di far finta di niente, senza pretendere troppo per non trasformare gli uomini recalcitranti. Ma qualunque cosa si pensi del loro approccio, non è normale che vengano attaccate. Anche loro sono contro il sistema..."

Essa riconosce anche di aver avuto paura. "Quello che è successo è segnale di una violenza latente. Questo rivela dov'è che ci troviamo esattamente. Nella mischia, un tipo mi ha detto: "Ma se la donna ha dei diritti, come farò a sposarmi". E' deprimente. Mi sento un po' tradita..."

Il femminismo in deliberazione

A fine giornata, quando la manifestazione è giunta al suo termine, Adila Bendimerad e Fadila Boumendjel Chitour della rete algerina Wassila raggiungono le giovani donne della "piazza" nel loro locale, a 500 metri da piazza Audin, sulla strada che va alla presidenza (la Mouradia).

Esse hanno previsto di fare una diretta Facebook per il giorno successivo per spiegare l'accaduto e ricordare le motivazione della loro marcia e le rivendicazioni portate in piazza. Esse cantano per darsi coraggio e si sistemano in cerchio attorno a un tavolino per scrivere il comunicato.

Vengono interrotte dal gas lacrimogeno che sale dalla strada, dove un faccia a faccia tra alcuni manifestanti che lanciano pietre e la polizia si è prolungato per 20 minuti, orologio alla mano, dai primi lanci di pietre contro la polizia fino alla pulizia delle strade da parte dei membri dei comitati di quartiere vestiti di gilet arancioni. Le giovani donne hanno seguito tutto questo dalle finestre, telefoni alla mano per filmare la scena.

Cinque minuti dopo, una volta che l'emozione è calata, hanno ripreso con calma e disciplina la loro riunione, non mista, con l'obiettivo di scrivere insieme un comunicato.

E' un momento di deliberazione collettiva, lo specchio di ciò che sta accadendo in Algeria un po' dappertutto, nelle strade, nei parchi e nei luoghi pubblici.

Tutte le questioni sono sul tavolo, anche quella di mantenere uno spezzone femminista. "Bisogna assolutamente che la settimana prossima siamo più numerose in modo che nessuno possa mettere in discussione la nostra legittimità", insiste Intissar Bendjabellah, una studente di Costantine. L'insieme dell'assemblea approva. Fadila Boumendjel Chitour le rassicura. "La cosa positiva è che abbiamo creato dibattito, anche tra gli uomini. E' anche questo l'interesse dello spezzone femminista."

Ed in effetti, il giorno successivo, tutti parlano sui social network, sulla stampa nazionale, internazionale e negli spazi pubblici di quello che è successo con le femministe, quelle dello "spezzone" ma anche dell'intervento di un altro gruppo di giovani donne che hanno incollato dei manifesti nella strada per denunciare il Codice della Famiglia. E confondendo, spesso, le due iniziative.

A margine del terzo dibattito organizzato da Nabni, al Parco della Libertà, sui vantaggi e gli inconvenienti di appoggiarsi alla Costituzione per pensare alla transizione, scoppia una discussione sulla piazza femminista con Hakim Ouhadj, 37 anni, venuto insieme a Yasmine, sua moglie, e Tarik, suo fratello. Tutti condannano le aggressioni subite dalle femministe, ma Hakim considera che l'andatura è "goffa":

"Siamo di fronte a una svolta storica, dice Hakim. Il popolo è tornato a parlare, i giovani si interessano alla politica dappertutto nel paese. Ci sono dibattiti su ogni tipo di questione, dalla giustizia ai sindacati delle grandi imprese, etc. Oggi, incredibilmente, c'era anche un presidio contro la sofferenza degli animali di fronte alla Grande Poste. Ma il venerdì è particolare, siamo tutti uniti attorno allo stesso obiettivo: sovvertire il sistema. Così, non c'è spazio per le rivendicazioni particolari. E poi, la questione è così enorme che sarebbe meglio riparlarne quando avremo fatto saltare questo regime. Ora è troppo presto".

"Bisogna rendersi conto che, io per esempio, non posso nemmeno compilare i documenti di mio figlio", interviene Yasmine che, a differenza di suo marito, precisa che lei "si appassiona da poco alla Costituzione e ai discorsi politici".

"Sì, certamente", riprende Hakim, "senza parlare del fatto che le donne non possono uscire per strada come vogliono, non possono fumare una sigaretta in pubblico... e non ho nemmeno parlato della questione dell'eredità. Ma ecco, che nella società attuale, la proporzione è tra l'80% di conservatori e un 20% di progressisti. Bisognerà prendere tempo, spiegare tutto questo nel dettaglio, la storia della dominazione maschile, le conseguenze del Codice della Famiglia... Se forziamo la mano, gli islamisti si sentiranno offesi sulle proprie posizioni e questo bloccherà tutto. Ci vorranno dieci o quindici anni per instaurare una democrazia e sciogliere le lingue..."

Yasmine sospira quando si mormora che quindici anni, sono tanti...

"Beh, sì, che cosa volete che vi dica, è vero, è orribile essere una donna in Algeria!", sbotta Hakim.

"Penso che questo prenderà meno tempo", dice Tarik. "Una volta che avremo ingaggiato la transizione, ciascuno rivendicherà i propri diritti. Bisogna solo che rimaniamo uniti fino a che il sistema non sarà abbattuto".

Se la maggior parte delle femministe e molte delle "donne del popolo", secondo Intissar Bendjabellah della piazza femminista, hanno portato il loro sostegno, ci saranno anche delle militanti che considereranno il soggetto "dannoso".

Thiziri Dehbia Maames, impegnata da molto tempo dentro a diversi collettivi politici, non nasconde il proprio fastidio: "Oggi tutti vogliono parlare di donne! E' fastidioso. A me, non interessa parlare del Codice della Famiglia in questo momento. Io difendo una linea politica, voglio che l'hirak resti unito per spazzare via il regime. Tutti gli altri soggetti societari, corporativisti e identitari non hanno hanno ragion d'essere oggi. Inoltre, abbiamo adottato la pratica mista nel movimento, questo è di fatto progressista".

"Uno spezzone femminista è per me completamente retrogrado in questo contesto. Bisogna fermarsi subito! Detto questo, non c'è alcuna ragione di aggredirle, ci andrò a parlare venerdì prossimo di persona perché attraverso i social network è impossibile, ciascuno restituisce caricature. D'abitudine, sono io a passare per la femminista di servizio. Oggi, mi faccio trattare come un'antifemminista, è il colmo!".

Le aggressioni e le minacce si moltiplicano

Ma lontano dagli spazi organizzati, le femministe che si impegnano in questa lotta si espongono ad una violenza ormai inaudita.

Martedì 2 aprile, Sonia Gassemi si è fatta spintonare durante la manifestazione studentesca di Algeri perché aveva portato con se un cartello dove c'era scritto: "Non possiamo liberare il paese finché le donne non saranno libere". Poi è stata nuovamente scacciata, durante il quarto dibattito svoltosi davanti al Teatro Nazionale, organizzato da Adila Bendimerad a fine giornata.

La commediante ha dovuto alzare la voce ("la prima volta in vita mia", ha spiegato poi, turbata) per esigere che il servizio d'ordine lasciasse parlare Sonia Gassemi.

Più inquietante ancora, mercoledì 3 aprile, a fine giornata, un algerino che vive a Londra ha fatto appello con un video su Facebook di attaccare con l'acido le femministe che manifestano. "Le figlie di "Houriyati" (la mia libertà, alludendo alle femministe), se venite venerdì ad attaccare manifesti, urlare alla gente, a dire che volete la libertà della donna, l'acido vi mangerà!", ha minacciato.

Una petizione internazionale è stata prontamente lanciata in reclamo nei suoi confronti. L'uomo si è allora servito di un nuovo video per portare le sue scuse. Successivamente, altre minacce di questo tipo si sono moltiplicate

* Fonte: http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article48361http://www.europe-s...

Traduzione a cura di Redazione