Lo Stato spagnolo, tra il governo Sanchez e le prossime tornate elettorali

Tue, 23/04/2019 - 12:13
di
Jaime Pastor*

I più recenti sondaggi confermano, nel mantenere l’incognita rispetto a quale sarà alla fine il voto dei molti incerti (circa il 42%), il crescente indice di volatilità dell’elettorato e l’enorme difficoltà di una previsione attendibile rispetto ai risultati delle prossime elezioni politiche del 28 aprile. Sembra anzi evidente che ci troveremo di fronte ad un sistema pentapartitico imperfetto, relativamente polarizzato tra due blocchi e che renderà assai complicato un accordo stabile per la formazione di un nuovo governo, di qualunque segno esso sia. A maggior ragione considerando che il 26 maggio ci saranno le elezioni amministrative, europee e regionali (in ben 12 regioni): i partiti usciti sconfitti dalle politiche del 28 aprile cercheranno di recuperare consenso e voti in questa seconda tornata elettorale, prima di formalizzare qualsiasi accordo con chicchessia per dar vita ad un nuovo governo.

Se questo è il probabile scenario al quale ci troveremo davanti, né le annunciate controriforme del tripartito reazionario (PP, Ciudadanos, Vox NdT), né la seppur timida apertura al dialogo rispetto al conflitto catalano (per altro in attesa della sentenza del processo sui fatti dell’ottobre 2017, che arriverà in autunno), sembrano poter contare sugli appoggi sufficienti per arrivare a superare, in un senso o nell’altro, la crisi di regime che stiamo attraversando. Un regime i cui miasmi riaffiorano senza alcuna vergogna, come nel caso della guerra sporca contro Podemos, ma le cui origini vengono da lontano come ha ricordato, tra gli altri, David Fernández. A questo nuovo scandalo si aggiunge la testimonianza dell’ex direttore di El Mundo, David Jiménez, che in un libro uscito di recente conferma quello che era un segreto di Pulcinella: l’asservimento dei principali mezzi di comunicazione nei confronti di una vecchia trama di potere politico, finanziario e poliziesco, che non si fa scrupoli nel ricorrere ai metodi peggiori per cercare di proteggersi di fronte a qualsiasi attacco possa arrivare o per calunniare e diffondere menzogne contro chiunque minacci il sistema, come è successo negli ultimi anni con l’indipendentismo catalano o, appunto, con Podemos. Come affermava un ex commissario di polizia nell’eccellente documentario Las cloacas de interior, “il sistema è talmente corrotto che espelle chi non lo è”.

Rimangono pochi dubbi circa la gravità di questo scandalo, che si aggiunge alle altre crepe profonde che si sono aperte ancora tempo fa, non solo sul piano nazionale-territoriale o rispetto ad una classe politica corrotta – monarchia inclusa – ma anche su un piano socioeconomico. Perché è questo il dato di fondo della disaffezione dei cittadini nei confronti di una élite politica ed economica che non fa altro che acuire le disuguaglianze sociali – pensiamo al recente clamore avuto dalla marcia della Spagna svuotata (il 31 marzo 50.000 persone provenienti da diverse parti della Spagna hanno manifestato a Madrid contro la mancanza di servizi base, come scuola, sanità e trasporti, in vaste parti del paese NdT) – in questa corsa al “si salvi chi può” che si diffonde a livello globale, a fronte della previsione di una nuova crisi di sistema.

Un nuovo ciclo

Arriviamo a questo momento dopo che, disgraziatamente, l’indignazione popolare che si era manifestata a partire dal 15M del 2011 non è riuscita a materializzarsi, nonostante le illusioni generate da Podemos, in un progetto di rottura all’altezza della sfida, così come invece gli slogan che echeggiavano allora nelle piazze, dal “non ci rappresentano” al “non vogliamo essere merce di politici e banchieri”, avrebbero richiesto. Non si è neppure data l’auspicabile convergenza di questo movimento con quello plurale che in Catalogna reclama il diritto a decidere del proprio futuro e che è cresciuto, a partire soprattutto dal 2012, arrivando alla sua massima espressione nelle giornate dell’1 e del 3 ottobre 2017, seguite poi dalla repressione e dalla penalizzazione del conflitto.
All’esaurirsi di entrambi i cicli di mobilitazione e alla limitatezza delle loro espressioni politco-elettorali, si è aggiunta la radicalizzazione del Partido Popular e di Ciudadanos, accelerata ora dalla pressione causata dall’ascesa di Vox, così come previsto dai sondaggi dopo l’esito delle elezioni in Andalusia.

La concorrenza di questi tre partiti per la leadership del blocco reazionario, non impedisce di constare che condividono uno stesso progetto: procedere con una serie di controriforme che, attraverso una combinazione di maggiore o minore nazionalismo spagnolo, accentratore e uniformatore, neoconservatorismo patriarcale e xenofobo, neoliberismo e austerità, aspirano a imporre un nuovo modello dominante che avrebbe poco da invidiare alle democrazie illiberali dell’Est. Questa svolta ultra autoritaria avrebbe come primo obiettivo la sconfitta (mediante l’imposizione di uno stato d’eccezione permanente) dell’indipendentismo catalano, ma come abbiamo già potuto constatare con gli attacchi alle libertà ed ai diritti fondamentali registrati in questi anni, nel caso in cui questo blocco reazionario riuscisse ad arrivare al governo, certo non cesserebbe il suo impegno per cercare di eliminare definitivamente la gran parte delle conquiste democratiche e sociali raggiunte in questi 40 anni e – se ci fosse bisogno di specificarlo – anche quelle che stanno arrivando ora, come il diritto ad una morte dignitosa.

Solo il movimento femminista sta dimostrando di saper resistere al riflusso del ciclo 15M-Poedmos e di saper porre freno a quest’ondata reazionaria grazie ad un discorso alternativo e antisistemico, senza per questo sminuire il ruolo che stanno giocando altri movimenti, come quello dei pensionati o le nuove forme di sindacalismo sociale. Parallelamente, nonostante la crisi delle forze politiche indipendentiste catalane, manifestazioni come quella dello scorso 16 marzo a Madrid, al di là della scarsa partecipazione di persone provenienti da altre parti del paese, ci dimostrano che la capacità di mobilitazione di organizzazioni sociali come ANC e Ómnium Cultural non è diminuita.

Oggi, ad essere in primo piano, è la questione elettorale. Non può quindi sorprendere che di fronte alla minaccia rappresentata dal tripartito reazionario, ritorni con forza, tra le persone di sinistra, la pressione per il voto utile al PSOE anche alla luce del declino di Unidas Podemos pronosticato dai sondaggi e del fatto che questa coalizione, negli ultimi tempi, è divenuta forza subalterna al governo e ha sofferto una profonda crisi interna. Quella del voto al PSOE rappresenta però un'opzione che ancora una volta non fa i conti con la predisposizione che invece i socialisti hanno a siglare un futuro accordo di governo con Ciudadanos, al fine di compiere quello che continua ad essere il loro obiettivo principale: assicurare la governabilità del regime, l' “unità di Spagna” e la fedeltà alle politiche di austerità dell'Unione Europea. Se si arrivasse a formare questa coalizione di governo, finirebbe comunque per essere un corto interregno che faciliterebbe il cammino del blocco delle destre verso l'egemonia.

Basta leggere i “110 impegni per la Spagna che vuoi” del programma elettorale del PSOE per verificare, al di là della retorica, le ambiguità e l'indefinitezza della maggior parte dei suoi punti. Per non parlare delle omissioni su questioni fondamentali come quella catalana, che non viene nemmeno menzionata, compiendo così un passo indietro rispetto alla proposta che era stata difesa in passato, di uno Stato federale e plurinazionale.

Di nuovo, la tentazione governista

È certo che Unidas Podemos si presenta ora con un programma di cambiamento nel quale, basandosi su articoli della Costituzione che riconoscono retoricamente diritti sociali basilari, si rivendicano misure di carattere socioeconomico, ecologico e femminista che negli ultimi tempi erano state relegate in secondo piano o semplicemente abbandonate da Podemos. Ma anche così le mancanze sono clamorose: nulla viene detto, ad esempio, a proposito dell'esigenza sempre più sentita di un referendum sulla forma dello Stato, o sulla Catalogna, o almeno sulla riforma del Senato basata su un federalismo plurinazionale o, infine, sulla necessaria deroga agli accordi del 1979 con la Chiesa cattolica. Si invocano articoli della Costituzione che già da molto tempo sono stati di fatto svuotati di contenuto nel contesto liberista della UE, mentre non se ne menzionano altri che continuano ad essere invece pilastri fondamentali del regime.

D'altro canto lo scandalo dello spionaggio contro Podemos ha consentito al suo leader di ricorrere ad un discorso di critica all'establishment, diretto a recuperare una parte dell'elettorato che negli ultimi anni è andato disperdendosi. La sua credibilità è tuttavia sminuita dall'insistenza a voler governare con il PSOE, qualunque sia il rapporto di forze tra i due partiti. Un'opzione che, se realizzata, e tenendo in considerazione che è da scartare l'ipotesi che dalle elezioni del 28 aprile esca una maggioranza di Unidas Podemos, sarebbe suicida per questa formazione elettorale, (de)potenziata da un Podemos trasformatosi in un comitato elettorale, sempre più burocratizzato e monolitico che verrebbe facilmente fagocitato dalle stesse forze dell'establishmente che oggi invece attacca.

L'esperienza portoghese è sufficientemente vicina per impararne la lezione e optare per altre formule che, contribuendo a impedire un governo delle destre non per questo rinuncino all'autonomia del progetto politico che dovrebbe essere alternativo a quello che continua ad essere rappresentato dal PSOE di Pedro Sánchez. Perché, come viene ottimamente scritto in Femminismo per il 99 %. Un Manifesto, il cammino che dovremmo seguire è quello che “ci porta ad affrontare direttamente le due opzioni politiche che il capitale oggi offre. Rifiutiamo non solo il populismo reazionario, ma anche il neoliberismo progressista”.

Solo partendo da un'autonomia strategica e tattica si potrà entrare in una nuova fase di ricomposizione di una sinistra che, come proponeva Aticapitalistas in una recente dichiarazione, si impegni “nell'elaborazione di nuovi discorsi ma, soprattutto, di nuove strategie politiche che vadano in profondità e siano capaci di riorganizzare le fila popolari, dotarle di strumenti di lotta e generare un rinnovato entusiasmo nel perseguimento di un progetto di società sovrana”. A ciò mi permetto di aggiungere, citando Javier Muguerza, scomparso lo scorso 10 aprile, che tra questi strumenti di lotta, il diritto al dissenso e quindi a disobbedire alle leggi e alle sentenze ingiuste, dovrà essere, ora più che mai, un obbligo etico in più di un'occasione.

Quanto detto fin qui si inserisce in un più ampio contesto, dove l'incertezza su quando arriverà la prossima grande recessione continua a caratterizzare l'impasse nella quale si trova un capitalismo finanziario in piena “decelerazione sincronizzata”, per dirlo con le parole della direttrice del FMI. Un'istituzione che, come sempre, riversa il suo impegno esclusivamente nell'imporre i dettati della debitocrazia, che nel caso spagnolo insiste nell'esigere un “maggior rigore di spesa” (leggasi: più controriforme pensionistiche e del lavoro). Lo scenario europeo è caratterizzato anche dall'interminabile Brexit e dal rallentamento del motore tedesco a fronte di una maggiore concorrenza commerciale tra grandi potenze, mentre il Sud del mondo continua a impoverirsi e a dissanguarsi. Tutto ciò non può farci dimenticare la principale minaccia per la sostenibilità della vita sul pianeta: il cambiamento climatico, che la Banca Mondiale riconosce ora unicamente come “il principale rischio che potrebbe far abbassare la potenziale produzione globale a medio termine”. Perché, come sempre, la preoccupazione della plutocrazia globale non è la vita, minacciata dal produttivismo capitalista, come invece correttamente denuncia il nuovo movimento studentesco che sta emergendo in Europa con i suoi venerdì per il clima, ma la fine del mito della crescita.

Jaime Pastor è politologo ed editorialista di viento sur

*Fonte: https://vientosur.info/spip.php?article14740
Traduzione a cura di Marco Pettenella