Il populismo penale

Thu, 24/10/2019 - 10:22
di
Salvatore Corizzo

Verso la manifestazione nazionale del 9 novembre per la richiesta di abolizione dei decreti sicurezza I e II, proponiamo un articolo di approfondimento e introduzione all'iniziativa "Il populismo penale: dalla criminalizzazione della solidarietà ai decreti sicurezza" che si terrà a Communia Roma il prossimo 26 ottobre.

IL POPULISMO PENALE: LA COSTRUZIONE DEL NEMICO PUBBLICO ATTRAVERSO IL RAZZISMO ISTITUZIONALE, POLITICHE SECURITARIE ED EROSIONE DEI DIRITTI SOCIALI E CIVILI

"Sono ossessionato da un'Italia pulita e sicura”. Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti
per il tramite del proprio alter ego Pasquale Apicella, in piena crisi di identità per un mondo – il suo mondo – che cadeva in frantumi come i pezzi del muro che separava i due blocchi che governano il nostro pianeta allora.

Ebbene, la frase di cui sopra è stata pronunciata dal palco della Piazza di San Giovanni in Laterano sabato 19 ottobre da Matteo Salvini, master of ceremonies di una liturgia collettiva, che di “prima gli italiani”, “tolleranza zero”, “più manganelli”, ha fatto le proprie formule sacre. Le parole sono importanti…e se dovessi provare a spiegare con parole esemplari cosa sia il populismo penale, utilizzerei proprio le parole pronunciate dal leader della Lega.

Nella letteratura politica questo fenomeno è chiamato Penal populism, populismo che si serve del codice penale. L’uso di questo neologismo lo si deve a Anthony Bottoms che nel 1995 ha collegato l’aggettivo “populista” al sostantivo “punitività” (punitiveness) per significare la propensione dei governi populisti a trasformare questioni di disagio sociale in questioni di law and order

Difatti, il populismo penale altro non è che un discorso che si fonda sulla rivendicazione politica della tolleranza zero e che immagina un sistema giuridico che risponde a una visione classista della giustizia. Questo discorso è incline ad individuare il nemico pubblico da condannare e da mettere alla gogna, funzionale alla liberazione e legittimazione di una politica demagogica in grado di solleticare e stimolare istinti più bassi e beceri che possono governare l’uomo. Quindi, questa forma di politica, punta ad assecondare ed alimentare la paura quale principale forma di consenso a misure penali in materia di sicurezza.

Pertanto, tale fenomeno si fonda su una totale dissociazione tra quello che accede nel reale e quello che viene percepito da un pezzo di società. È come se un pezzo di società vivesse in un universo alternativo che assomiglia molto al “nostro”, ma allo stesso tempo è completamente diverso. In questa “altra” Italia, le supposizioni prendono il posto dei fatti, e le teorie del complotto diventano realtà concrete. Anche se diminuiscono i crimini commessi, l’ostilità verso i migranti e la piccola criminalità viene alimentata dai media, dai partiti della nuova destra sovranista e da quella conservatrice, per costruire il consenso alle norme securitarie.

In più occasioni, il prof. Luigi Ferrajoli ha sottolineato quelli che sono gli obbiettivi perseguiti dal populismo penale: in primo luogo vi è un messaggio classista che promuove il diritto minimo per i ricchi e i potenti, e un diritto repressivo per i poveri, i marginali e i “devianti”, con l’aggravante delle leggi razziste che colpiscono migranti e rom. Di conseguenza reati come la bancarotta fraudolenta, le frodi fiscali, i riciclaggi ecc., vengono considerati come reati “secondari” che non attentano alla nostra “sicurezza” a differenza dei “reati di strada” come il piccolo spaccio, furti di piccola entità, furti d’auto ecc. Come ha scritto il prof. Ferrajoli in un suo recente scritto tale messaggio è un “messaggio che vale ad assecondare, ne l’opinione pubblica, il riflesso classista e razzista dell’equiparazione dei poveri, dei neri e degli immigrati ai delinquenti, e perciò deformare l’immaginario collettivo sulla devianza e sul senso stesso del diritto penale: affinché la giustizia penale cessi di perseguire i reati delle cosiddette “persone per bene” e si occupi dei soli reati che attentano alla “loro” sicurezza”.

Seppur il nostro paese è un paese che da sempre ha avuto a che fare con legislazioni che puntavano a mettere in discussione le più elementari garanzie individuali e collettive, civili e sociali – si pensi alla legislazione speciale a cavallo tra i 60’ e gli 80’ – con le leggi promulgate dagli anni 90’ sino ad oggi, la stigmatizzazione penale ha cominciato a colpire in maniera sempre più organica non solo singoli individui sulla base dei reati da essi compiuti, ma soprattutto in relazione al proprio “gruppo sociale di appartenenza” o in base alla loro identità etnica. Da questo punto di vista si pensi alle leggi adottate per reprimere in fenomeno Ultras, ma soprattutto si pensi alle leggi varate in materia di immigrazione ed in particolare, da ultimo, ai due decreti emessi dal c.d. Governo Gialloverde, ovvero i c.d. decreti Salvini I e II (anticipate dai molti provvedimenti emessi dal governo di centrosinistra a trazione PD, con grande protagonismo dell’ex Ministro Minniti).

Misure come i decreti voluti dall’ex governo gialloverde violano una serie di principi di civiltà giuridica, ma soprattutto la sostanza del principio di legalità, cioè il divieto in materia penale di associare una pena ad una condizione, o ad un’identità personale, tanto più se è etnica. È il meccanismo della demagogia populista: si costruisce un potenziale nemico, l’immigrato, e lo si addita come possibile delinquente, o soggetto pericoloso, esponendolo alla violenza sia verbale che fisica da parte di un pezzo di cittadinanza. Insomma, l’aspetto più grave di queste leggi, più ancora della violazione dei principi garantisti, è il veleno razzista che iniettano nel senso comune. Queste leggi non si limitano ad assecondare il razzismo diffuso nella società, ma esse stesse sono leggi
razziste.

Inoltre, il populismo penale trasforma in maniera radicale il significato della parola sicurezza. Nella letteratura politica, si è sempre intesa tale parola come “sicurezza sociale”, cioè garanzia dei diritti sociali e di conseguenza: sicurezza del lavoro, della salute, dell’istruzione, né tanto meno sicurezza delle libertà individuali contro gli arbitri polizieschi. Ad oggi, la parola sicurezza viene associata dal senso comune esclusivamente in termini di “pubblica sicurezza”, declinata nelle forme dell’ordine pubblico di polizia e degli inasprimenti punitivi. Pertanto, dinnanzi allo smantellamento del welfare state – vera e proprio garanzia nella soddisfazione dei diritti – le campagne securitarie valgono a soddisfare il sentimento diffuso dell’insicurezza sociale mobilitandolo contro il subalterno o il “diverso”, preferibilmente se migrante o comunque non cittadino italiano.

Infine, l’effetto più velenoso e violento di cui è portatore il populismo penale è da rintracciare nel rapporto perverso che instaura tra la paura e il potere. La paura è sempre stata la principale risorsa e la principale fonte del potere. La paura dei governati consolida il potere dei governanti a scapito degli elementari principi su cui si fonda lo stato di diritto. Lo stiamo vendendo anche in questi ultimi giorni, in relazioni alle grandi proteste che si stanno diffondendo in tutto il mondo. Nello specifico, dinnanzi alle proteste di chi chiede maggior democrazia e maggiori diritti sociali, i rappresentanti governativi rispondono con palesi provvedimenti autoritari, come nel caso delle pesantissime pene nei confronti dei politici catalani che promossero il referendum sull'indipendenza della Catalunya, o nel caso della gravissima proclamazione dello stato di eccezione nel Cile.

A ciò si aggiunga che un’ulteriore effetto di tale rapporto tra paura e potere – ed avviso di chi scrive è ciò che ci riguarda maggiormente in questa fase – è quello che si crea facendo leva sulla paura del crimine, la drammatizza e la alimenta quale fonte di legittimazione del potere repressivo e della sua risposta punitiva. Agitando lo spauracchio della paura, costruendo e demonizzando nemici interni ed esterni, il potere si propone come garante della sicurezza, fondando sulla difesa contro questi nemici la coesione sociale e il consenso politico, corroborando tale discorso, con discorsi identitari, nazionalisti e sovranisti.

Dinnanzi a queste politiche populiste a sostegno della paura volte ad escludere, a frammentare, a mettere gli uni contro gli altri, tutti i soggetti che compongono quella che dovrebbe essere la classe dei/delle subaltern*, a partire dai soggetti migranti, che più di tutti stanno pagando a caro prezzo, sulla loro pelle e col loro sangue, la brutalità e la violenza di leggi liberticide e razziste è necessario in primo luogo, richiedere l’abolizione delle politiche penali autoritarie applicate negli ultimi 20 anni, a cominciare dai c.d. decreti Salvini I e II. Inoltre, a ciò va affiancato un discorso rivendicativo che punti a costruire delle piattaforme trasversali, in grado di esigere diritti sociali ed individuali per tutti e tutte, al di là della cittadinanza: abolizioni del reato di clandestinità, salario minimo, un reddito di autodeterminazione, sanità e istruzione per tutti e tutte, diritto alla casa, abolizione del gender pay gap, diritto all’aborto. Questi sono solo alcuni punti da cui ripartire per spazzare via la paura.

Da questo punto di vista, la manifestazione nazionale che il 9N chiederà l’abolizione dei decreti sicurezza I e II sarà un primo fondamentale banco di prova per invertire la marcia nella lotta dell’acquisizione e difesa dei diritti per tutte e tutti.